Suzuki Grand Vitara XL-7 - Da una parte la precisione maniacale di chi ci tiene a ribadire nel nome che quella è proprio una versione di taglia extra large, cosa che chiunque potrebbe capire anche facendo il giro dell’auto bendato, procedendo a tastoni. Dall’altra la scelta di lasciare quel 7 che all’estero identifica il numero dei posti ma che in Italia, dove questa Suzuki è omologata per cinque, non ha alcun fondamento. Chissà, forse avrà qualche significato particolare nella numerologia orientale…
Il passo della XL-7 sale infatti a ben 2.800 mm, che si notano tutti, complici l’andamento a onda della linea di cintura, l’estensione delle porte e lo sbalzo posteriore, degni quasi di una limousine. Nessuna novità di spicco si nota invece nella zona posteriore, con la ruota di scorta montata in coda e faretti di foggia classica che più classica non si può.
Anche l’abitacolo trae beneficio dall’"operazione elastico" messa in atto dagli ingegneri nipponici. A differenza di quanto accade su alcune rivali, accedere ai sedili non richiede doti da rocciatore o da contorsionista e una volta a bordo si gode di uno spazio notevolissimo, specie in senso longitudinale. I passeggeri posteriori possono stendere le gambe come se viaggiassero in business class, ma anche il pilota e il suo secondo hanno ben poco da lamentarsi.
Al di là dell’aspetto borghese, da Suv in carriera, la XL-7 mantiene però inalterata la struttura di una vera fuoristrada tradizionale, con un telaio a longheroni che supporta la carrozzeria. Anche le sospensioni la dicono lunga circa l’origine della Grand Vitara: l’avantreno è McPherson mentre al posteriore c’è un assale rigido. Nella marcia offroad queste scelte e la presenza del riduttore permettono una mobilità sorprendente alla XL-7, nonostante il suo fisico sia più da basset hound che da border collie.
Su strada le cose vanno benone, quanto meno finché tutto rientra nell’ordinaria amministrazione. Bisogna tuttavia mettere in preventivo la risposta un po’ secca delle sospensioni sulle piccole sconnessioni. Tarate per resistere ai colpi più duri, digeriscono più volentieri un marciapiede che non una rotaia del tram.
Anche il motore predilige il trotto al galoppo e lo fa capire con una voce un po’ roca, alla Sandro Ciotti, poco incline dunque agli acuti. Si tratta di un turbodiesel common–rail di penultima generazione con passaporto nipponico ma con sangue francese nelle vene (nasce sotto il segno del Leone), che con 109 CV e 270 Nm rende comunque la XL-7 abbastanza arzilla.
Il passo della XL-7 sale infatti a ben 2.800 mm, che si notano tutti, complici l’andamento a onda della linea di cintura, l’estensione delle porte e lo sbalzo posteriore, degni quasi di una limousine. Nessuna novità di spicco si nota invece nella zona posteriore, con la ruota di scorta montata in coda e faretti di foggia classica che più classica non si può.
Anche l’abitacolo trae beneficio dall’"operazione elastico" messa in atto dagli ingegneri nipponici. A differenza di quanto accade su alcune rivali, accedere ai sedili non richiede doti da rocciatore o da contorsionista e una volta a bordo si gode di uno spazio notevolissimo, specie in senso longitudinale. I passeggeri posteriori possono stendere le gambe come se viaggiassero in business class, ma anche il pilota e il suo secondo hanno ben poco da lamentarsi.
Al di là dell’aspetto borghese, da Suv in carriera, la XL-7 mantiene però inalterata la struttura di una vera fuoristrada tradizionale, con un telaio a longheroni che supporta la carrozzeria. Anche le sospensioni la dicono lunga circa l’origine della Grand Vitara: l’avantreno è McPherson mentre al posteriore c’è un assale rigido. Nella marcia offroad queste scelte e la presenza del riduttore permettono una mobilità sorprendente alla XL-7, nonostante il suo fisico sia più da basset hound che da border collie.
Su strada le cose vanno benone, quanto meno finché tutto rientra nell’ordinaria amministrazione. Bisogna tuttavia mettere in preventivo la risposta un po’ secca delle sospensioni sulle piccole sconnessioni. Tarate per resistere ai colpi più duri, digeriscono più volentieri un marciapiede che non una rotaia del tram.
Anche il motore predilige il trotto al galoppo e lo fa capire con una voce un po’ roca, alla Sandro Ciotti, poco incline dunque agli acuti. Si tratta di un turbodiesel common–rail di penultima generazione con passaporto nipponico ma con sangue francese nelle vene (nasce sotto il segno del Leone), che con 109 CV e 270 Nm rende comunque la XL-7 abbastanza arzilla.
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